Negli anni Ottanta, oltre alla ‘scrittura di luce’, Bruno Di Bello realizza tele fotografiche giustapponendo figure umane e oggetti che proiettano le loro ombre sul supporto sensibilizzato. Opera esemplare di questa produzione è Apollo e Dafne del 1985, creata per la collezione “Terrae motus”, voluta da Lucio Amelio e avente per tema il sisma che ha colpito Campania e Basilicata nel 1980. Di fronte a tele di questo tipo vengono alla mente evidenti reminiscenze dei rayographs di Man Ray, ma siamo in realtà di fronte a qualcosa di diverso, ad un’evoluzione di una tecnica che ha dato avvio ad un nuovo modo di far fotografia senza uso della camera. Di Bello, a differenza di Man Ray che lavorava su carta e in piccole dimensioni, opera a grandezza umana e le grandi dimensioni cambiano di conseguenza anche la tecnica. Lui stesso, una modella o oggetti di varia natura s’interpongono tra la fonte luminosa e la tela fotosensibile in posizione verticale, le tracce lasciate vengono poi rivelate passando i liquidi di sviluppo e fissaggio con un pennello direttamente sulla tela e non attraverso i tradizionali bagni.
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